Un evento che cinquant’anni fa coinvolse l’intera popolazione di Mola
Alla festa della rivoluzione
Ricordando lo sciopero dei marinai del settembre 1969
Nel settembre 1969, a Mola, il paese in cui sono nato e in cui ho vissuto la mia giovinezza, scoppiò improvvisamente la rivoluzione. Il «Comitato Marinai Studenti» si fece promotore di un’azione di lotta contro gli armatori che coinvolse l’intera marineria del mio paese. Ciò che mi resta dell’atmosfera di quel crepuscolo dell’estate del ‘69 è il sapore del tempo. Si trattava di un tempo qualitativamente diverso, insolito, dilatato e, insieme, sospeso.
A noi studenti e ai giovani marinai venne offerta la possibilità di vivere una seconda infanzia: proprio perché non avevamo niente da fare o da progettare, ci abbandonavamo all’istinto e all’effervescenza magmatica del momento; vivevamo una dimensione di tempo senza tempo. Le nuove forme di sociabilità come le assemblee, il fumare assieme la stessa sigaretta e, in modo coestensivo, l’antico rituale dei giochi di birra, contribuivano ad addomesticare la distanza fra noi studenti e i marinai. Molti allora presero la parola per la prima volta, altri, invece, ascoltavano. Nondimeno eravamo comunque tutti convinti di poter cambiare il mondo! L’esito di quella lotta fu positivo. I pescatori ottennero un nuovo contratto che prevedeva: una nuova e più equa ripartizione del pescato fra armatori e marinai; il salario minimo garantito; e, infine, il diritto di fruire delle ferie.
In quell’inedito spazio sociale il filo dei rapporti amicali consentì la produzione di un tessuto di relazioni che continuò per alcuni anni. Di fatto a quella lotta avevano partecipato – accanto ai pescatori che erano imbarcati sui pescherecci che operavano nel Canale di Sicilia e ai pescatori dediti alla pesca locale – un cospicuo numero di giovani marittimi che in seguito si tennero in contatto con i membri più anziani del comitato. I leader del «Comitato Marinai Studenti», Carlo Moccia e Rodolfo Vaccarelli, avevano rapporti epistolari con molti marinai imbarcati sulle navi nonché con i pescatori presenti sui pescherecci che operavano a Siracusa, Mazara del Vallo, Ancona, ecc. Tuttavia col passare del tempo quel filo si spezzò soprattutto per la difficoltà di individuare l’identità del nemico da combattere, poiché il mondo dei pescatori è un mondo composito e variegato: accanto agli armatori possessori di molte barche, vi sono piccoli proprietari di natanti a gestione familiare.
Il «Comitato Marinai Studenti» coagulò una quantità di esperienze diverse, di ansie di ribellione, di velleità rivoluzionarie; fu come un lungo e febbrile carnevale all’insegna della festa. La stessa nostra vita ci apparve come una festa, una vita fatta di giochi, di utopie e trasgressioni.
Lo sciopero dei marinai del settembre 1969, pur essendo stato un capitolo significativo della cultura della rivolta che ha caratterizzato il Novecento, fu soprattutto una festa, una festa-rivoluzione che, tuttavia, non diede luogo ad alcun atto di violenza. Tutto ciò non deve stupire. Come vi sono state nel Novecento rivoluzioni senza violenza – la rivoluzione dei garofani in Portogallo, l’avvento della democrazia in Spagna, nella Repubblica del Sud Africa, ecc. – così nel mondo premoderno vi erano feste che non si trasformavano necessariamente in sommosse con bagni di sangue!
Di fatto il carnevale si trasformava in sommossa solo quando il potere si rifiutava di riconoscere e valorizzare le istanze liberatrici che venivano veicolate nel corso della festa.
Nel concludere queste brevi note, ripenso a quella breve e, insieme, intensa esperienza dell’estate del 1969. Ebbene, rispetto a quell’esperienza, uno può sempre dire che in fondo è durata poco. Certo è durata poco, eppure dura ancora!