A PROPOSITO DI MIKE PESCE
Nella seconda metà del secolo scorso a Mola operavano molte sarte che cucivano abiti su misura, anche di elevata fattura e eleganza. Una di queste era mia madre, Caterina Gaudiuso, nota come la “maestra del ponte” perché abitavamo in via Matteotti, la strada della stazione, proprio accanto al ponte sovrastante la “mena” che raccoglieva le acque piovane provenienti dalla parte a monte del paese, per poi terminare alla lama” di S. Antonio.
La mia conoscenza, se vogliamo indiretta, di Mike Pesce, è legata al fatto che mia madre, amica della sua, Vincenzella, di sua sorella Isabella e di sua zia Gilda, cucisse loro gli abiti. Ricordo benissimo le visite che ci scambiavamo, gli auguri alle feste importanti, il pesce fresco delle barche di sua proprietà, che ci portava il discretissimo papà Francesco (non voleva mai entrare quando veniva da solo, forse per la presenza delle tante apprendiste o perché mia nonna recitava di continuo le preghiere e non voleva distoglierla). La partenza per l’America, non certo necessitata da condizioni di difficoltà economiche, prima paventata e poi vissuta con rassegnazione e speranza insieme, fu un momento triste per tutti.
Allora, nel 1955, avevo 7 anni e ho solo vaghi ricordi. Mia madre, però, che aveva sempre mantenuto rapporti epistolari con Vincenzella prima e con Isabella dopo, seguiva con gioia e soddisfazione i successi personali e professionali, privati e pubblici di quello che per lei è sempre stato Michele. Spesso raccontava con orgoglio di aver cucito anche per lui il cappotto per la partenza. Ricordava divertita che per provare il capo e rifinirlo alla perfezione, faceva salire il piccolo Michele sul tavolo di lavoro, un meraviglioso tavolo circolare che io ricordo immenso e con un solo piede riccamente lavorato. Su di esso Michele doveva girarsi e rigirarsi per mostrare eventuali difetti agli occhi attenti delle nostre mamme.
Ho sempre sperato di raccontare a lui direttamente questi ricordi e mi auguro che prima o poi accada, anche per sapere se ricorda le sue passerelle su quel tavolo, oltre all’amicizia che ha sempre legato le nostre famiglie. Amicizia che è rimasta intatta anche perché Isabella, finché ha potuto, ha continuato a scrivere a me e concludeva sempre le sue lettere con i saluti suoi, di suo marito Leonardo, dei suoi figli e, immancabilmente, dei fratelli Vito e Michele.
Raffaella Lasalandra