“Che cos’è un rito?” disse il piccolo principe.
“Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore.”
“Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. […] Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”.
C’è tutta una letteratura antropologica e psicologica circa gli effetti positivi che la ritualità sortisce sull’essere umano, ma ho scelto questo passo che più volte mi è capitato di leggere durante il corso delle lezioni ai miei alunni, perché penso che anche l’eccezionalità non possa prescindere dalla ritualità.
Il rito è quell’abitudine materna e rassicurante che ci ricongiunge alle nostre radici.
Le radici..le radici: noi siamo alberi con ali che, simili ai rami, aprono le braccia al cielo.
Sì, siamo alberi con radici che, quanto più immerse nella madre terra, possono rendere la nostra esistenza robusta e forte alle intemperie della vita.
Vento, pioggia, tempeste…un albero radicato alla sua terra, resiste e svetta verso il cielo, con rami ancor più floridi e braccia piene di frutti e fronde.
I Riti hanno profumi e sapori.
I Riti sono atmosfere ed emozioni.
La Settimana Santa è uno di quei Riti…e non solo per i cattolici, ma per chi CREDE.
“I Misteri”, “i Sepolcri”, la processione del ,”SS Legno” o di “Gesù morto”….è come se ognuno di questi momenti, nella vita di ogni Paese, non si tingesse solo della sacralità connessa all’evento stesso, ma anche di un inspiegabile sentimento di intima partecipazione emotiva e persino sensoriale.
Sentire profumo di incenso dopo ogni processione, o passeggiare per le strade e assaporare l’odore del calzone di cipolla, delle “scarcelle” e delle tipiche pastarelle alle mandorle che, come dolci effluvi di bontà, vengono fuori da case, pasticcerie e forni…è gioia!
Carezze, sono carezze e noi lì a ritornare indietro nel tempo, fin ai giorni in cui eravamo bambini, per farcene avvolgere.
Ogni “sorso” è una immagine.
Ogni “morso” è una memoria.
…e le memorie sono radici!
Ecco, quelle radici, sono proprio i riti a riportarcele alla mente.
Mola di Bari, Conversano, Polignano, Monopoli, Noicattaro, Bari..ogni Paese il proprio Rito..e noi a festeggiarlo fuori e dentro.
Oggi attraversiamo questo momento di epocale frantumazione della socialità così come l’abbiamo sempre vissuta ma, costretti ad un distanziamento penoso e insieme salvifico, abbiamo però la possibilità di ripensare a tutto ciò a cui, essendo una consuetudine quasi scontata, non abbiamo dato sempre la giusta importanza.
E allora, eccezionalita’ diventa il giusto sostantivo per connotare quella “regola” che, nella sua ritualità, scandiva i nostri giorni, quando tutto era “normale”.
Questo è il momento per restituire il giusto e il buono al tempo che è stato, per il tempo che sarà.
Questo è il momento per risarcire di preziosità quanto avevamo e torneremo ad avere.
…e noi, più di prima, sapremo apprezzarlo!
Rosa Innamorato
(A seguire, riporto un articolo pubblicato per la Settimana Santa dell’anno scorso, scritto dalla brava Elena De Simone, brava e bella fanciulla molese di 15 anni).
Da più di 300 anni ogni Venerdì Santo si svolge per le vie del centro storico della città di Mola di Bari una raccolta e solenne processione della Reliquia del Santo Legno della Croce di Gesù.
Un documento dell’archivio della Chiesa Matrice ci permette di conoscere le vicende della Reliquia conservata a Mola. Ecco in sintesi la memoria storica di quel documento.
Nel 1678 il Cardinale Antonio Barberini junior ricevette dall’Abbazia di Nonantola diversi frammenti della Croce di Cristo e fece dono di alcuni di essi al suo segretario Mons. Giuseppe Teutonico di origine molese. Suo nipote Michele Teutonico donò due frammenti al Capitolo della Collegiala di Mola. L’Arcivescovo di Bari Nunzio Gaeta nel 1713, a richiesta dell’Arciprete don Giuseppe Zuccarino, riconoscendo l’autenticità della reliquia, autorizzò la solenne esposizione prescrivendo anche il cerimoniale per la solenne esposizione. La prima Processione avvenne probabilmente già nel 1714; il percorso appare già fissato nel 1744. L’artistica Croce d’argento in cui sono conservati i due frammenti è della fine del 1700 (vedi Antonio Mancini. Le Chiese di Mola di Bari 1975. P.19-25).
Quando si ritira la processione del S.S. Legno nella Chiesa Matrice, dalla Chiesa di S. Antonio (S. Maria del Passo) parte la processione di Gesù morto, che percorre le vie del Paese di Mola creando un’atmosfera suggestiva ed emozionante.
La statua di Cristo Morto è in legno verniciato (arte locale del 1700) ed è posta in una bara (portata da 8 persone alla volta) che la Confraternita di S. Francesco d’Assisi acquistò nel 1952 da Milano. Questa bara era una delle migliori di quei tempi perchè presenta una copertura in cristallo temperato, con lampade a neon che rendono visibile la statua di Cristo Morto da ogni lato.
Mio padre, ex confratello della Confraternita di S. Francesco d’Assisi, racconta che con gli altri componenti cantava l’inno del Vexilla Regis. Tale inno si canta tuttora durante la processione del S.S. Legno in prossimità delle chiese e durante la processione di Gesù morto alternandosi alla banda.
L’inno del Vexilla Regis prodeunt risale al VI secolo d.C., viene cantato in latino, esattamente nella versione originale. Per questo è necessario dare una spiegazione del significato del canto in modo che la popolazione apprezzi interamente il suo valore storico e religioso e sia invitata alla meditazione e alla contemplazione della passione di nostro Signore Gesù Cristo.
L’Inno è stato composto da Venanzio Fortunato, nato a Valdobbiadene presso Treviso. Egli, dopo essere stato colpito da una grave malattia agli occhi, ed essendo stato miracolato da S. Martino, decide di andare a ringraziare il Santo, venerandolo sulla sua tomba a Tours, in Francia. Nei suoi viaggi Venanzio Fortunato si tratteneva presso uomini illustri che poi celebrava in versi. Successivamente nel 567 fu ben accolto nel monastero di S. Croce a Noyon da S. Radegonda, e qui compose l’inno “Vexilla Regis” in ginocchio davanti al crocifisso. In seguito fu ordinato sacerdote e più tardi, verso il 597, diventò vescovo di Poitiers. Dopo la morte fu proclamato santo a voce di popolo. Ha scritto tanti versi, libri ed inni, ma il più importante è il Vexilla Regis, un canto stupendo nella forma e concettuoso nella sostanza che esalta la Santa Croce come salvezza di tutti gli uomini. L’Inno si affermò in occasione dell’arrivo in Francia nel 569 di una insigne reliquia della Santa Croce, che Giustino II, imperatore d’oriente, e l’imperatrice Sofia avevano mandato in dono a S.Radegonda.
Quando la reliquia giunse nei pressi di Noyon, una imponente processione andò a rilevarla. Fu proprio in quella circostanza che fu composto e si affermò il “Vexilla Regis prodeunt” (I Vessilli del Re avanzano), uno dei più significativi inni, se non il più bello sulla S. Croce.
Esso è traboccante di entusiasmo per la S.Croce di cui canta le glorie, e da cui implora frutti di Redenzione: la grazia ai giusti ed il perdono ai peccatori.
Il Vexilla Regis
Nella prima strofa si descrive la Croce che avanza gloriosa come un trofeo: con un bel gioco di parole(Morte-Vita), si mette in risalto come il Cristo, nostra vita, dandosi alla morte, ci ha liberati dalla mortee ci ha procurato la vera Vita.
Nella seconda strofa si mette in risalto il colpo di lancia che “aprì” il Costato di Cristo: dal cuore aperto di Cristo vennero fuori sangue ed acqua, simbolo dei Sacramenti della Chiesa: con l’acqua battesimale siamo lavati, col sangue eucaristico siamo nutriti!
Nella terza strofa si cita il Salmo 95, che descrive il dominio di Dio. Veramente il Salmo in parola non è di David, ma di epoca tardiva, forse del IV sec. a.c. e vuole presentare un mondo pacificato, che fa esplodere in un canto corale e in una danza cosmica. Siccome Cristo è la nostra pace e ha riappacificato cielo e terra proprio col Sangue della sua croce, ha fatto bene l’antica versione Italica ad aggiungere “a ligno”: “Regnavit a ligno Deus”: Cristo ha dominato regalmente dal legno (trono) della Croce!
La quarta strofa è tutta una esaltazione del legno della Croce, presentata anch’essa regalmente perché ornata di porpora regale: la porpora è il Sangue prezioso di Cristo.
La quinta strofa presenta la Croce come bilancia del grande riscatto. Affisso alla Croce, il Cristo ci ha liberati dal maligno a prezzo del suo Sangue prezioso.
La sesta strofa è una supplica rivolta alla Croce “unica speranza”: si chiede l’aumento della grazia per i pii, e la remissione della colpa per i peccatori.
La settima strofa è simile alla sesta, esalta la Trinità come fonte di salvezza.
Concludendo, ci troviamo di fronte a un autentico capolavoro, che perciò ha fatto fortuna nel corso dei secoli ed è pervenuto fino a noi, come una purpurea profumata rosa di maggio, invitandoci alla meditazione e alla contemplazione.
Elena DeSimone