Riporto un simpatico racconto, segnalatomi dal nostro Prof. Nicola Fanizza.
Il racconto è apparso sulle colonne del Corriere della Sera.
Un vicolo della Puglia, una stradina di Mola di Bari..la gestualità della nostra terra, il suo dialetto, le pittoresche tradizioni del tempo che fu, ci strappano un sorriso. La nostra Terra raccontata dai ricordi di una bambina degli anni ’40, in visita a Mola di Bari.
Imparammo il pugliese dal teatro del Vicolo
Nel 1940, per le vacanze, andavamo dai nonni a Mola di Bari. La casa aveva una finestra che si affacciava su un vicolo cieco. Del Vicolo le difficoltà della vita nella povertà, l’essere troppo vicini gli uni agli altri, facevano scoppiare tra le donne furibondi litigi. Allora si apriva per me e mia sorella il sipario del “Teatro Dialettale Pugliese”. Parole grosse venivano scagliate dall’una all’altra donna come frecce velenose a difesa delle proprie ragioni. Frasi pittoresche dipingevano l’una e l’altra delle contendenti in un linguaggio che metteva al vivo le questioni come mai la lingua italiana sarebbe riuscita! Noi bambine correvamo alla finestra scostavamo la tenda e, non viste, guardavamo lo spettacolo. Non bastava ascoltare, bisogna osservare, perché linguaggio era anche gestuale. Lo spettacolo del litigio era per noi ancora più bello perché è proibito. La mamma non voleva che parlassimo in dialetto. In sua assenza, scelto con mia sorella il tema di un litigio, imitavamo le “maestre” del vicolo e ci scatenavamo gridando in dialetto.”Coliiii! Coliiil!”. Era il grido delle madri per chiamare i figli, i monelli, che si erano allontanati dal vicolo. Molti si chiamavano Nicola come il santo patrono di Bari. Il diminutivo Nicolino, veniva semplificato in “Colì”.
Lucia Marcella Lizzini