Come ogni bella realtà che si rispetti, anche per Mola di Bari vale la medesima regola: ciò che di più bello c’è, è nascosto, sfugge all’immediata percezione, bisogna scovarlo con occhi vivi, occhi curiosi di un tempo apparentemente morto.
Sono tanti i punti di interesse da ammirare in questa piccola città bagnata dal sole e dal mare. I più noti sono ovviamente quelli in superficie: il castello, le piazze, il lungomare. Basta soffermarsi un po’ in qualche strada del centro storico per saperne di più perchè, tra l’odore di focaccia, della salsa fatta in casa, delle orecchiette e rape, si scorge l’odore della storia, quella di cui Mola è impregnata sin nelle fondamenta.
Passeggiando per le vie del centro si incontrano quelle inesauribili miniere di storia, di cultura, di tradizioni, di usi e costumi, dei libri viventi, delle testimonianze preziose: gli anziani, i nonni di tutti, di tutti coloro che sono disposti ad ascoltare quel ch’essi hanno da dire. Ed è proprio così, a partire da questo genere di fonte, che in questa sede si delineerà un piccolo specchio di quel che era ed è la realtà sotterranea molese.
Il nostro storyteller, in questa puntata, si chiama Michele, classe 1931. Con i suoi occhi azzurri, bagnati dal mare in cui ha lavorato per anni e nel quale rivede tutt’oggi le sue origini e la sua storia, ricorda non senza commozione il sé ragazzino intento a scappare nell’ipogeo più vicino a qualsiasi ora del giorno e della notte, per ripararsi dalle bombe rilasciate dagli aerei nemici durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il suo papà lo ripeteva fino allo sfinimento di correre non appena si udiva il suono dell’allarme azionato dai militari posti a vedetta sulle terrazze della Chiesa di Santa Chiara e del centro storico. La premura di quest’uomo, finalizzata all’immediatezza della fuga, non era altro che frutto della preoccupazione di un padre che, per quelle bombe, aveva visto alcuni dei suoi amici cadere in battaglia.
Sua mamma invece gli raccontava di quando ci si riparava nei sottoscala, nelle cantine, in ognuno di quei posti apparentemente protetti, la cui sicurezza fu presso discussa a causa di tragici eventi in cui delle persone persero la vita.
Michele le ricorda quelle particolari luci dalla copertura blu, quelle che si usavano nelle case, particolari perché da fuori non si vedevano: la città doveva sembrare buia, spenta, altrimenti gli aerei l’avrebbero puntata e colpita. Quando i ripari ipogei in paese, i cosiddetti “ricoveri” non erano più sicuri, si scappava nelle campagne desolate, oggi zone popolatissime, ricche di palazzi residenziali.
Mola di Bari è davvero ricca di ipogei: a partire dai frantoi, luoghi impiegati per la lavorazione delle olive per la produzione dell’olio con macine e torchi, come quello di Piazza Risorgimento, meglio nota come Le quattro Fontane, per la presenza appunto di una fontana a quattro bocche: “i quatt’ pomb”.


Altri si trovano in via Regina Margherita, in via Principe Amedeo, in via Vittorio Emanuele, in Piazza dei Mille, in via Cesare Battisti, nei sotterranei del Castello Angioino. Gli anziani di oggi, giovanotti in piena guerra, ricordano una serie di cunicoli che collegavano tra loro questi posti. Il verbo al passato non è casuale: oggi questi passaggi sono inaccessibili alcuni, interrotti altri dal tempo dell’installazione dei sistemi di tubazione per acqua, luce, gas.
Attualmente, molti di questi luoghi sono lasciati all’abbandono e all’imperante vandalismo. Sono iniziati lo scorso 15 ottobre i lavori di pulizia e risanamento degli ipogei del Comune di Mola di Bari, finanziati dalla Regione Puglia attraverso i fondi “ecotassa”.
La speranza per l’immediato futuro è da riporre, ovviamente, nel buon senso di chi è in potere di riprendere in mano la situazione, rimettendo in sesto queste pietre preziose, fonti di inestimabile valore storico, culturale, sociale, paesaggistico, rifacendole brillare di quella luce che per troppi anni è stata oscurata.