“Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: Egli è qui per la rovina e la
risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i
pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima.”
(Luca 2,34-35)
Mi sento sollevare. Nell’ultima settimana è successo spesso, ma oggi, oggi mi innalzo sempre più su’, un
po’ traballante, affaticata, eppure so di essere al sicuro. Forse vogliono aiutarmi nel miracolo
dell’Assunzione, elevandomi fino a che Anima e Corpo non tornino al Padre, superando e attraversando
le eleganti volte e i preziosi affreschi che abbelliscono la mia dimora terrena, la Casa che porta il nome
della donna che mi fu vicina ai piedi della Croce.
Dunque, procedo verso la luce dinnanzi a me, abbagliante e pura di torpore, lasciandomi alle spalle
l’ombra della nicchia. Così anche il suo etereo silenzio, man mano sfibrato da un soffice vociare, un
tumulto ovattato, un’agitazione palpabile. Un inspirare trattenuto…uno, due, tre passi oscillati. L’ovazione
è travolgente, gli applausi feroci e al contempo riverenti, le urla emozionate.
Non sono in Paradiso, è certo, eppure l’aria che respiro è pregna di devozione, di umiltà, di sobria
ebbrezza.
Attorno a me donne con l’abito nuovo, colorato, sgargiante, bambine con graziosi fiocchetti di raso tra i
capelli e vestitini in tulle, uomini di ogni età, dai più piccoli ai più saggi, con la camicia amorevolmente
inamidata già da qualche giorno; la mia veste è nera, invece, con ricami in oro a renderlo più solenne,
cuciti da mani delicate e discrete. Ci son fiori, radici intrecciate con eleganza e minuzia, ci sono i sette
simboli del mio Dolore.
Le mani dei fedeli continuano ad incontrarsi tra loro, a produrre il suono della gioia, dell’esuberanza,
della riconoscenza. Ma riconoscenza di cosa? Le mie dita affusolate e pallide sono contratte in una posa
sgomenta, imprevista, incredula. Vorrei distenderle per unirmi all’applauso, alla felicità, ma provo Dolore.
Dolci bocche sono curvate in tanti sorrisi diversi, chi più timidi, chi più estasiati e ci sono i bambini, la
purezza di questo mondo, che non si limitano ad una smorfia muta, ma aggiungono la musica della
risata, sincera, curiosa, cristallina. Non temono il mio volto? È solcato dalle lacrime, corrugato per la
sofferenza, il respiro incastrato tra le labbra di ceramica. Perché sono stata colpita, una spada sta
trafiggendo la mia Anima; ho perso un Figlio, ma voi mi esaltate; mi sento persa, ma voi anelate a me;
io sono Addolorata, ma voi mi celebrate.
Perché?
Un uomo con la fascia tricolore mi si avvicina, china il capo il segno di rispetto e affida qualcosa alle mie
mani atrofizzate: sono delle chiavi, sono il simbolo della vostra città, della Mia città, Mola di Bari. Sono
la Mater Dolorosa, sono vostra Patrona e vostra Serva, come sono stata e continuerò ad essere serva
di Dio.
Adesso tutto mi è chiaro: con i vostri abiti a festa, con la vostra gioia, allegria, esaltazione, con i vostri
sorrisi e le vostre risate state riversando su di me il Vostro Dolore, almeno per un giorno, almeno in
quell’attimo in cui i vostri occhi e i miei si incontrano e si scambiano uno sguardo d’intesa.
La mia sofferenza vi serva da supporto e conforto per i taciti tormenti; sia monito per il supplizio che
avete arrecato ad altri, con la fede che ne risolviate le conseguenze qui in terra, quando ancora potete
essere ascoltati; sia riflesso dell’angoscia che ho subito nel perdere mio Figlio, ma non il mio unico Figlio.
Altri sono coloro che fragili e indifesi, sembrano non essere degni della vostra compassione e del vostro
pieno impulso di agire ed aiutare. Pargoli miei, non bisogna andare lontano: ho visto uno dei miei figli
accasciato a terra per molto, troppo tempo, prima che qualcuno andasse in suo soccorso; vedo
ragazzini denigrati, che lottano per aggrapparsi ad un futuro florido anche per loro e poche anime
disposte ad accompagnarli verso la retta via; ho visto gente esultare all’invocazione all’odio e alla
discriminazione, all’intolleranza e alla derisione di alcuni dei voi stessi concittadini.
Sì, accetto di prendermi cura di questa meravigliosa cittadina, dei suoi cittadini ricchi di potenzialità e
amore timido, ma ricordate, come ho fatto io, il motivo per cui è una Donna umile tra le umili, vestita in
lutto, fragile e sofferente ad assumersi questo sacro incarico: manifestate sempre la vostra sofferenza,
ci sarà lì qualcuno a sostenervi; siate quel qualcuno che sostiene l’altro nelle situazioni di difficoltà e
smarrimento. Abbiate rispetto della vostra e altrui fragilità. Non è una colpa, ma l’espressione di
UMANITA’ più limpida che ci possa essere.
“Mater Dolorosa” di Nicoletta Panzini (Foto di Sabino Guardavaccaro)
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