IL NATALE DELLA NOSTRA INFANZIA
“ Buongiorne auanngevene e a ce ua vedà a bbune”. Così, immancabilmente, si concludevano con mestizia le feste natalizie la sera del 6 gennaio, quando la nonna Romanella, speranzosa, dava l’arrivederci al Bambinello deponendolo nella sua preziosa custodia. Noi piccoli ce ne stavamo immusoniti per l’imminente ritorno a scuola e perché avevamo potuto giocare solo poche ore con i doni ricevuti dalla befana, insieme, ovviamente, al carbone, tirato fuori per primo dal sacco. Solo più tardi i doni li avrebbe portati Babbo Natale, con grande nostra gioia, perché avevamo più tempo da dedicare ai nuovi giochi nei giorni di festa, attesi come una manna dal cielo. Nella nostra infanzia l’attesa dl Natale incominciava già da qualche giorno prima dell’Immacolata, quando le mamme, le zie e le nonne preparavano, insieme, per tutta la famiglia, i dolcetti tipici natalizi: i biscottini di pasta reale, i minuscoli taralli dolci chiamati “occhi di Santa Lucia”, le scure sasanelle, i “percìdde” e i “perceddòzze”, i bocconotti ripieni di marmellata e pasta reale, le cartellate fritte da ripassare nel vincotto di fichi o di uva o, per qualche palato “raffinato”, nel miele. Vi lascio immaginare, ma qualcuno ricorderà sicuramente, i meravigliosi profumi che si diffondevano per le strade e nelle case. Nelle camere da letto, in genere al primo piano, arrivavano quei dolci effluvi, che ci svegliavano riconciliati col mondo. Ci precipitavamo giù, senza essere chiamati, per “aiutare” e per rubacchiare qualche dolcetto mal riuscito o rotto o che… rompevamo ad arte. La vigilia dell’Immacolata, giornata di astinenza e digiuno, a casa mia si preparava la focaccia e, festa grande, solo per noi piccoli, le focaccine, che non si trovavano ancora in nessuna rivendita. Il giorno dell’Immacolata si metteva in cantiere il presepe: l’albero proprio non era contemplato. Si tiravano fuori, con molta attenzione, le statuine in terracotta, il muschio, la carta azzurra del cielo e quella doppia della pasta per le montagne. La grotta a casa mia veniva fornita dalle clarisse, la cui badessa, suor Maria Angelica, al secolo za Vettòrie, era la sorella di mio nonno Vincenzo. Che meraviglia di delicatezza quella capanna! Piena di stelle, candele con le fiammelle, angeli realizzati con la carta delle caramelle e delle cioccolate, la cui raccolta e conservazione ci veniva sollecitata dalle suore stesse quando andavamo a portare le offerte e prendere gli scarti delle ostie. L’albero di Natale non è che non ci fosse, ma si metteva accanto al presepe ed era un arbusto della macchia mediterranea, il lentisco, “u sebbele”, che veniva addobbato con mandarini appena colti. Chi entrava in casa veniva avvolto da un tripudio di profumi. Noi bambini, in verità, salutammo con grande gioia il passaggio dai mandarini alle cioccolate a forma di Babbo Natale, Befana, pastori e soggetti vari, acquistati dall’Upim di Bari. Il fatto è che il lentisco, giorno dopo giorno, a causa delle nostre visite interessate, s’impoveriva sempre più, fino a costringere gli adulti a un’altra spedizione a Bari, per il rinnovo della fornitura, che doveva essere pronta per la sera della vigilia, quando a casa nostra arrivavano, con la gioia generale, i cugini molesi e quelli di Taranto. Si cominciava nel primo pomeriggio con giochi di paparella, ruba mazzetto, la pupetta (l’8 di bastoni), “uasse arrocc’a totte”. La tombola era la primadonna, il gioco serale, dopo la funzione della nascita e la cena. Il nonno Vincenzo, prima dell’inizio della cerimonia della nascita, ammiccando verso i presenti, con innocente irriverenza, si accertava dalla moglie: “ Remanè, Remanè, aveèime u nènne? Nan sapeime cuss’anne a jésse maschele o féemne?”. Il Bambinello di cera nelle mani del più piccolo, attorniato da tutti i cuginetti e dietro gli adulti in processione per tutte le stanze buie della casa cantando “Tu scendi dalle stelle”. Ognuno di noi aveva in mano una candela accesa e vi lascio immaginare gli scherzi! Al termine della processione, davanti al presepe, il nipote maggiore aveva l’invidiato compito di sciogliere l’incenso nel ferro da stiro con i carboni accesi, come in una chiesa, mentre la nipote più grande leggeva il “Te Deum”e la preghiera a Gesù Bambino. E per concludere la recita delle poesie. Ognuno di noi ne aveva imparata una, ma spesso c’era quel discolo, che non l’aveva fatto. Tutti, la mamma per prima, lo aspettavamo al varco, ma lui, immancabilmente, se la cavava inventando al momento. La cena che seguiva comprendeva verdure crude e cotte, pesce, tra cui baccalà in umido e capitone arrosto, fritture varie e dolci. Qualche volta, a richiesta, le frittelle; non i panzerotti, ma i “frèttele”, rimaste irraggiungibili. Quelle belle grosse frittelle che da sole ti riempivano il piatto! Il tutto preparato con amore e inimitabile maestria dalla fata di casa: la zia Domenichella, cuoca eccezionale oltre che donna fantastica. Si tirava poi fino a tardi a giocare e a scherzare.
Sicuramente in ogni famiglia ci sono state delle usanze particolari: sarebbe interessante conoscerle, così come sarebbe bello sapere se chi è partito in cerca di fortuna in paesi stranieri ha conservato o conserva le nostre tradizioni.
Raffaella Lasalandra
4 commenti
Mia mamma Cecilia Affatati preparava insieme con mie sorelle i dolci cartellati fritte nel vincotto, occhi di Santa Lucia, i biscottini di pasta reale, e molte altre buone dolcetti che preparava per tutti la famiglia. CHRISTMAS FOR US IN MOLA WAS THE MOST BLESSED HOLIDAY OF THE YEAR.
Sono stato veramente fortunato a far parte di questa meravigliosa famiglia. Che bello ricordare la processione alle luci delle candele cantando “ Tu scendi dalle stelle “ ………nonno Vincenzo e le sue battute “irriverenti “ tanto per provocazione a nonna Romanella. Che dire poi di zia Caterina, zia Dimenichella , zia Rosetta, zii Peppino. Vi ho voluto tanto bene e vi ricordo con immutato affetto. Peccato che non ci siete più!!!
Grazie Raffaella, mi hai commosso
♥️
Grazie ,carissima Raffaella mi hai portato indietro negli anni e hai descritto quei momenti come meglio non sarebbe stato possibile.Con tanto affetto