DOSSIER VAN WESTERHOUT n. 1
ll tenore voleva venire a Mola per interpretare la Doña Flor,
CARUSO E VAN WESTERHOUT: UN INCONTRO MANCATO.
A poposito della prima messa in scena della Doña Flor di Niccolò van Westerhout, che ebbe luogo a Mola nell’aprile 1896 presso il teatro comunale, Piero Delfino Pesce ci la lasciato la seguente testimonianza:
«A Napoli come talvolta avviene fioriva la primavera lirica. Al San Carlo, che i giornaletti umoristici avevano ribattezzato San Gaetano per la invadenza, in cartellone, del repertorio donizzettiano, De Lucia e Battistini; al vecchio Fondo, rimesso a nuovo col nome di Mercadante dalla Ditta Sonzogno per cura del leccese Nicola Dasparo, repertorio francese con tenore Castellano e il soprano Agresti, che era una Aida insuperabile. Ma noi studenti si andava più volentieri al Bellini, non perché il posto costasse meno, che gli studenti che non sgobbano non hanno di queste malinconie, ma perché avevamo scoperto un giovane tenore meraviglioso, giovanissimo e già tanto tanto bravo, ed eravamo come fieri e gelosi della valorizzazione di questa nostra scoperta. Vi andavamo per Caruso, e anche e più, per Annina Franco, che, in Faust, era una Margherita ideale, bella brava squisita appassionata cantatrice di cui eravamo tutti pazzamente innamorati, come si può essere innamorati a diciotto anni, quando si distingue assai bene il fascino dell’arte da tutte le altre cose. Seguitammo in seguito a informarci del tenore nostro e di Annina nostra. Costei non fece più carriera e ne restammo come personalmente offesi, poi che avevamo riposto in lei tanta nostra fiducia. Ma Caruso compensò a usura le nostre aspettazioni.
Però non immediatamente. L’anno dopo lo incontrai una sera al Gambrinus e mi disse con rammarico che aveva inutilmente aspirato a essere l’interprete, nella mia Mola, della Doña Flor, del van Westerhout, scritta per la inaugurazione del nostro piccolo Comunale. Gli era stato preferito, con il baritono Buti e la Bulicioff, il tenore Angioletti, che era stato al S. Carlo un dolcissimo Lohengrin. “Già: io non sono ancora celebre!” mi disse con quell’aria bonaria e spavalda propria dei napolitani di genio che, come i bambini, sentono Achille in seno, con la certezza che non mancherà mai il tempo per metterlo fuori».*
Nicola Fanizza
* Vedi P. D. PESCE, Rilievi, in «Humanitas», a. XI, n. 31-33, 31 luglio-14 agosto 1921.